Secondo la tradizione il dialetto anconitano sarebbe nato nel Rione Porto, in una piccola piazza ora non più esistente detta la Chioga, nella quale si erano fuse tre parlate: quella locale dei purtulòti (portolotti), lavoratori portuali, quella dei marinai levantini (provenienti dall’Oriente) stabilitisi in città e quella dei Buranèli, ovvero le famiglie originarie di Burano e della laguna veneta, trasferitesi ad Ancona in cerca di fortuna e dedite alla pesca e alla navigazione come attività e sussistenza[4]. In particolare il professor Giovanni Crocioni ebbe modo di sottolineare quanto riferitogli dal poeta vernacolare Duilio Scandali, ossia che nel porto, almeno fino all’inizio del ‘900, varie famiglie parlassero ancora il buranese, un dialetto semi-veneto. Nel corso del tempo ha assunto sempre maggiori peculiarità, continuando ad assorbire e rielaborare influssi dovuti agli scambi del porto, determinando così la penetrazione di vocaboli di origine greca, ma anche spagnola e francese. Si può inoltre notare che molte parole anconetane in senso stretto non appartengono al repertorio etrusco-gallico né osco-sannitico, ma sono calchi di modelli medioevali, quando Ancona poteva permettersi anche l’autonomia linguistica. Si è così sviluppata una quasi totale estraneità di Ancona di fronte ai mutamenti linguistici, come fosse un'”isola” nel “continente” marchigiano nonché centro-italico: tuttavia molte parole sono ormai scomparse per lo scarso utilizzo e per l’allontanamento dalla fonte originaria.
In aggiunta a ciò, non ultima per importanza, lo Scandali e il Crocioni ebbero modo di riscontrare anche la presenza, fino a quell’epoca, di un vero e proprio gergo giudaico-anconetano, quasi inintelligibile e non documentato, e che risultava essere formato da radici ebraiche congiunte a desinenze dialettali. L’anconetano viene quasi unanimemente considerato l’idioma più settentrionale del gruppo umbro-laziale-marchigiano (secondo la linea Roma-Perugia-Ancona), poiché a nord-ovest, già a Montemarciano (distante solo 20 km) gli influssi del gallo-italico predominano su quelli centrali.[7][8]. Ad ovest, poi, già da Jesi (30 km) i dialetti sono più tipicamente centrali, mentre a sud già l’osimano (20 km) e le parlate limitrofe assumono alcune componenti maceratesi-picene[7], le quali costituiscono retaggio dei secoli di amministrazione maceratese su Osimo, Loreto e Castelfidardo. Il dialetto di Ancona, specie nel passato, poteva essere considerato un vernacolo, vista la limitata zona di suo utilizzo: infatti la parlata anconetana “pura” era circoscritta praticamente alla sola città e solo negli ultimi decenni si è estesa anche alle contigue Falconara, Sirolo, Numana, un tempo centri linguisticamente gallo-italici ed ora completamente anconetanizzati. Un’anconetanizzazione parziale la si può riscontrare anche nei vernacoli dei centri rurali immediatamente limitrofi, come Agugliano, Polverigi e Offagna, ove risente dell’osimano, nonché Camerata Picena e Chiaravalle, in cui si mescola con lo jesino. C’è anche da dire che a ben vedere al giorno d’oggi gli influssi dell’anconetano hanno modo di manifestarsi in aree assai più estese, specie lungo la costa (in direzione nord e sud) e nella valle del fiume Esino: accade cioè che gli abitanti di centri quali Senigallia, Jesi, Osimo, Porto Recanati e perfino Civitanova Marche, tanto per citare solo i più importanti, assumano sempre più spesso, a causa dei numerosi contatti col capoluogo (lavorativi e non), la tendenza ad anconetanizzare, cioè ad utilizzare accento e vocaboli tipici della parlata dorica, considerata una varietà dialettale di maggior prestigio.
Nel dialetto anconitano convivono elementi dei due macro-gruppi italiani: infatti malgrado la già citata appartenenza al gruppo dialettale umbro-laziale-marchigiano, non è difficile accorgersi, accanto agli elementi centro-meridionali, anche di elementi gallo-italici, nonché di alcuni fenomeni linguistici tipici anche dei dialetti veneti, il che porta un cospicuo numero di studiosi a considerare l’anconitano come parlata di “transizione” con i dialetti gallo-italici. Addirittura, secondo il già citato Giovanni Crocioni, il dialetto anconetano è da considerare come il più meridionale dei dialetti gallo-italici, che da Fano verso sud perdono progressivamente le loro caratteristiche gallo-italiche per esaurirsi solo dopo Camerano ed Osimo, divenendo poi parlate picene. (tratto da Wikipedia)
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